Depowering Risk: Vehicle Power Restrictions and Teens’ Driving Accidents in Italy
Balia S., Brau R., Nieddu M.G., 2023 – Journal of Law and Economics
Gli incidenti stradali sono la principale causa di morte tra i giovani e tra gli adolescenti in particolare. Ridurre quindi il numero di incidenti è da tempo una priorità nelle agende politiche mondiali. Si tratta, però, di un obiettivo difficile da raggiungere sia perché i giovani conducenti, oltre ad essere i più inesperti, sono anche più inclini a comportamenti di guida rischiosi come la guida in stato di ebbrezza e l’eccesso di velocità, sia perché le misure tradizionali di sicurezza stradale hanno una efficacia limitata, con effetti di breve durata. Misure come l’imposizione di limiti di velocità più stringenti o l’inasprimento delle sanzioni per l’uso del telefono durante la guida mantengono la loro efficacia solo in presenza di uno sforzo di monitoraggio e controllo continuo e spesso non riescono nell’intento di prevenire comportamenti di guida pericolosi, limitandosi piuttosto a sanzionarli a posteriori. Inoltre, quando imposte all’intera popolazione, queste misure comportano alti costi sociali, a cui corrisponde un ritorno in termini di sicurezza stradale molto contenuto. Dal momento che i conducenti sono eterogenei in termini di rischiosità, inasprire le misure per tutti – e quindi anche per la maggioranza dei conducenti sicuri – ha un impatto limitato sugli incidenti stradali.
Esiste tuttavia una famiglia di politiche che si indirizzano alle categorie di conducenti ai quali è attribuita – a priori – una rischiosità maggiore: si tratta dei programmi Graduate Driver Licensing (GDL), diffusi soprattutto negli Stati Uniti e in Australia. I GDL prevedono un processo per l’ottenimento della patente di guida che, nei primi mesi e anni di guida, implica delle restrizioni – quali l’impossibilità di guidare di notte o in compagnia di altri passeggeri minorenni – che vengono progressivamente rimosse man mano che il conducente acquisisce esperienza. L’efficacia di questo tipo di politiche è confermata da una serie di studi, che però sottolineano come questa dipenda da un effetto di scoraggiamento (o incapacitation) più che da un’efficacia diretta. In altre parole, i GDL scoraggiano i giovani dall’ottenere la patente, il che porta a una riduzione del numero di incidenti.
In un recente articolo, “Depowering Risk: Vehicle Power Restrictions and Teens’ Driving Accidents in Italy”, pubblicato sul Journal of Law and Economics, Silvia Balia, Rinaldo Brau e Marco Giovanni Nieddu esaminano gli effetti di una riforma del Codice della Strada, introdotta in Italia nel febbraio 2011, che di fatto risulta concettualmente simile ai GDL. Essa stabilisce, infatti, che i neopatentati non possono guidare veicoli con una potenza del motore superiore a 70 kilowatt (circa 95 cavalli) durante i primi 12 mesi di patente. Per studiare gli effetti di questa riforma, gli autori hanno utilizzato una combinazione di dati amministrativi su tutti gli incidenti stradali avvenuti in Italia nel decennio 2006-2016 e dati provenienti dal censimento delle patenti di guida. La strategia identificativa si basa sul fatto che diverse coorti di potenziali conducenti sono esposte in maniera asimmetrica alla riforma, e che solo coloro che avrebbero guidato veicoli sopra il limite dovrebbero essere interessati dalla nuova regolamentazione; in questo modo, è possibile isolare l’impatto dell’introduzione del limite di potenza da quello di altre politiche introdotte negli stessi anni. I risultati mostrano che il limite sulla potenza del motore riduce la probabilità di causare un incidente stradale di quasi il 20% (da 4,4 a 3,6 incidenti per 1.000 persone). Parte di questa riduzione è dovuta a un minor numero di neopatentati, dal momento che il numero di patenti rilasciate si riduce del 19%. Tuttavia, la riforma ha anche un effetto diretto (-13%) sulla probabilità di causare un incidente per coloro i quali decidono di conseguire la patente nonostante l’introduzione del limite. Questi risultati sono illustrati nella Figura 1, che mostra anche come l’effetto della riforma sugli incidenti stradali si possa osservare solo tra i veicoli che superano la potenza massima consentita, ossia quelli che, dal 2011, non possono più essere guidati dai giovani. È importante notare come, scomponendo gli incidenti stradali per causa e tipologia, la riduzione degli incidenti tra i giovani sia in larga parte dovuta a un minor numero di incidenti causati da eccesso di velocità. Questo risultato sembra suggerire che, nel breve periodo, la riforma sia efficace proprio perché previene i comportamenti rischiosi – quali, appunto, la guida spericolata e l’eccesso di velocità – per i quali i veicoli di maggiore potenza sono, in buona misura, un “bene complementare”.
Inoltre, la riforma ha anche effetti evidenti nel medio e lungo periodo: chi ha conseguito la patente nel nuovo regime è meno propenso a causare un incidente automobilistico anche dopo che il periodo di restrizioni si è concluso. Per questo risultato gli autori suggeriscono una spiegazione legata al fatto che le regole sulla potenza ammessa dei veicoli abbiano influenzato le scelte di acquisto delle auto, spingendo i neopatentati – e le loro famiglie – a optare per auto con potenza più bassa. I dati sulle vendite di auto italiane dal 2006 al 2016 forniti dall’ACI (Automobile Club d’Italia) evidenziano infatti un aumento delle vendite di modelli di auto al di sotto del limite, potenzialmente a scapito di modelli con motori più grandi. La Figura 2 mostra che le immatricolazioni di modelli di auto il cui motore si trova appena al di sopra della soglia di potenza del motore di 70 kW sono molte meno – e in maniera discontinua – rispetto a quelle con un motore che rispetta la normativa. Questo implica che i conducenti continuano a guidare un’auto meno potente e, quindi, meno associata a rischi di incidente anche dopo la fine del periodo delle restrizioni.
Nel complesso i risultati suggeriscono che una strategia praticabile ed efficace per migliorare la sicurezza stradale sia quella di scoraggiare il verificarsi di circostanze potenzialmente rischiose per i conducenti più giovani, come appunto la possibilità di guidare veicoli di potenza elevata. A sua volta, questo ha importanti implicazioni dal punto di vista del disegno ottimale delle politiche di sicurezza stradale. In primo luogo, queste misure infatti non richiedono un controllo costante da parte della polizia volto a prevenire (e sanzionare) direttamente i comportamenti rischiosi come l’eccesso di velocità nel momento esatto in cui si verificano. In secondo luogo, a differenza di misure più penalizzanti, come l’innalzamento dell’età minima per il conseguimento della patente, il focalizzarsi sulla potenza del veicolo consente comunque ai giovani di guidare, sebbene entro certi limiti. Il successo di questa tipologia di politiche, tuttavia, come indicato dai risultati di questo studio, è fortemente riconducibile alla loro capacità di individuare la popolazione target, i fattori di rischio principali e le circostanze da limitare, scoraggiare o impedire.
Nel caso della riforma italiana, il suo successo è dipeso proprio dal fatto che la circostanza che previene – guidare veicoli ad alte prestazioni quando si è giovani – rappresenti effettivamente una componente importante del rischio di incidente: tra gli adolescenti, il rischio di causare un incidente aumenta del 20% quando il veicolo ha una cilindrata superiore ai 1500cc (mentre nel caso degli adulti la tipologia del veicolo ha un ruolo molto più limitato). Ovviamente, la rischiosità delle diverse circostanze può evolversi nel tempo, insieme ai cambiamenti nelle abitudini di guida, nella tecnologia e nel mercato. Per questo motivo è necessario un aggiornamento periodico o ‘manutenzione’ di questo tipo di misure.