Should I care for my mum or for my kid? Sandwich generation and depression burden in Italy
Brenna E., 2021 – Health Policy
L’invecchiamento della popolazione, che coinvolge la maggior parte dei Paesi occidentali, comporta un aumento nel bisogno di cure da parte degli anziani. Questo tipo di assistenza può essere fornito da parte di personale qualificato e acquistato su un mercato, oppure prodotto in via informale, da parte di amici, familiari e vicini di casa. In Italia, durante gli ultimi decenni, la richiesta di assistenza da parte della popolazione anziana è stata soddisfatta attraverso il sostegno della rete familiare, caratterizzato in via predominante dal supporto dei figli adulti, in particolare delle figlie. Tuttavia, i primi baby boomers, ovvero i nati fra il 1945 e il 1964, sono prossimi alla soglia degli ottant’anni, un’età in cui il bisogno di cure si fa pressante. Questa generazione è più numerosa rispetto alle precedenti e ha generato meno figli e ad un’età più avanzata; come conseguenza, in un’ottica di aiuto reciproco familiare, il rapporto genitori anziani/figli adulti vede un decremento al denominatore, con meno figli adulti in grado di occuparsi dei propri genitori, e probabilmente ancora occupati sul fronte genitoriale.
Nell’articolo intitolato “Should I care for my mum or for my kid? Sandwich generation and depression burden in Italy”, pubblicato su Health Policy, Elenka Brenna si concentra sulla doppia responsabilità di cura attribuibile alla cosiddetta “generazione sandwich”, rappresentata da individui di età compresa fra i 35 e i 59 anni, che assistono contemporaneamente congiunti anziani e figli o nipoti non ancora autonomi. Assistere parenti anziani può essere gravoso in termini di scelte allocative familiari. Il tempo dedicato alla cura viene sottratto, per scelta o per necessità, ad altre attività come il lavoro, la cura dei figli e della casa, il tempo libero. Se l’impegno assistenziale richiede molte ore e si protrae nel tempo, questo può comportare rinunce sul piano lavorativo e/o conseguenze negative sulla salute fisica e mentale dei caregiver.
Obiettivo dello studio è verificare se l’impegno richiesto per la cura dei familiari possa comportare un rischio di depressione per i caregiver, e se ci sia una differenza di genere nell’esposizione a tale rischio. I dati sono ricavati dall’European Health Interview Survey, anno 2015. Sono stati isolati gli individui di età compresa tra i 35 e i 59 anni, rappresentativi della “generazione sandwich”, i quali sono stati successivamente suddivisi in “caregiver” e “non caregiver”. Per entrambe le categorie sono state selezionate una serie di caratteristiche osservabili (età, sesso, reddito, livello di istruzione, stato di salute, etc.) in grado di descrivere sia la propensione alle cure informali sia la probabilità di essere depressi. La tecnica utilizzata è il Propensity Score Matching, tramite la quale è possibile individuare, sulla base delle caratteristiche osservabili selezionate, due “gemelli statistici” provenienti da ciascuna categoria. Una volta effettuato questo passaggio e verificato che non ci siano differenze rilevanti nelle variabili osservabili, eventuali differenze nella variabile di outcome, che rileva la presenza di depressione, possono essere attribuite allo status di caregiver.
Il modello è stato implementato dapprima su tutto il campione, controllando per eventuali differenze di genere, e in un secondo tempo ci si è focalizzati sul campione ristretto di individui che convivono con ragazzi di età inferiore ai 16 anni, per verificare eventuali effetti sulla generazione sandwich. L’evidenza empirica insegna che la generazione sandwich, in particolare quella femminile, è a maggior rischio di problemi di salute mentale a causa dei vincoli temporali nel gestire lavoro e attività di cura verso i familiari a carico.
I risultati sui diversi campioni confermano quanto riportato in letteratura e mettono in luce un aspetto interessante. Prendendo l’intero campione, suddiviso per genere, le caregiver (per gli uomini il risultato non è significativo) che si occupano esclusivamente dei congiunti anziani hanno una minore probabilità di essere depresse rispetto alle non-caregiver sovrapponibili in termini di caratteristiche osservabili. Tuttavia, se si restringe il campione agli individui con figli ancora dipendenti dai genitori, il risultato si ribalta: i sandwich caregiver (maschi e femmine) mostrano una maggiore propensione alla depressione rispetto ai propri gemelli statistici. Suddividendo per genere, il risultato aumenta di valore e di significatività per le donne mentre non è significativo per gli uomini, corroborando l’effetto di genere nelle responsabilità di cura.
Che cosa ci racconta in sostanza lo studio? Le donne che si prendono cura di un familiare anziano, senza avere altre responsabilità di cura (verso figli/nipoti conviventi) possono trarre beneficio da questa attività. Il dato va letto alla luce della recente letteratura che riconosce una sensazione di appagamento e benessere nell’assistenza ad un parente fragile. Se tuttavia la responsabilità aumenta a causa della presenza di ragazzi non ancora autonomi nel nucleo familiare, il rischio di una pressione troppo alta sul fronte delle responsabilità familiari può sfociare in casi di depressione. Una donna che debba lavorare, assistere i figli o i nipoti e prendersi anche cura dei propri congiunti anziani è a rischio di burn out.
Di fronte ad una società in continua evoluzione, caratterizzata da una quota crescente di donne lavoratrici, da un aumento delle famiglie monogenitoriali e da un rapido invecchiamento della popolazione, il modello di cura italiano, basato sui legami familiari non è più sostenibile. Le classi socioeconomiche più disagiate sono quelle più a rischio, soprattutto sul piano del sostentamento economico; le donne costrette a rinunciare ad un lavoro retribuito per assistere i propri congiunti difficilmente rientrano nel mercato del lavoro, con conseguenze negative sulla propria autonomia finanziaria.
I possibili interventi riguardano diverse sfere del welfare: maggiore flessibilità sul fronte del lavoro (più permessi, orari adattabili alle esigenze familiari, possibilità di lavorare da remoto), più fondi destinati agli asili nido, in particolare quelli aziendali, trasferimenti ai soggetti più poveri vincolati all’assunzione di badanti. Per quel che attiene alle politiche per la salute: investimenti sulla Long Term Care, con un potenziamento dell’assistenza domiciliare, e un maggiore utilizzo della telemedicina; valorizzazione del medico di base con il supporto di nuovi soggetti collegati in rete (ambulatori diagnostici, farmacie, case della salute, centri diurni, etc.), al fine di garantire una presa in carico degli anziani che possa ridurre le responsabilità di cura per i caregiver familiari.