Tax evasion and government size: Evidence from Italian provinces
D’Agostino E., De Benedetto M.A., Sobbrio G., 2021 – Economia Politica
Una versione precedente del lavoro è stata presentata durante la XXXI Conferenza SIEP 2019 “Quality of government, economic development and social welfare”, Università di Torino
L’evasione fiscale è un fenomeno talmente diffuso in tutte le parti del mondo che non può sorprendere l’attenzione ad essa rivolta da economisti e policymakers. Ciò è particolarmente vero in paesi come l’Italia dove l’economia sommersa ha un peso significativo. Ogni legge di bilancio, del resto, dedica svariati provvedimenti alla lotta all’evasione, che ovviamente cambiano in base al colore politico del governo in carica. Negli ultimi mesi, ad esempio, ha destato non poche polemiche la decisione del governo di favorire l’uso del contante. Provvedimenti di natura opposta erano, invece, stati approvati dai precedenti esecutivi per incoraggiare con un premio in denaro l’uso della moneta elettronica (il c.d. cashback e super cashback, poi eliminati dal governo Draghi).
L’articolo “Tax evasion and government size: Evidence from Italian provinces”, scritto da Elena D’Agostino, Marco Alberto De Benedetto e Giuseppe Sobbrio e pubblicato su Economia Politica, si inserisce nell’ampia letteratura sull’argomento cercando una possibile causa dell’evasione fiscale nella rottura del patto sociale tra istituzioni e cittadini/contribuenti, dove la parte che per prima viene meno ai patti non è rappresentata dai cittadini che non pagano le imposte, ma dalle istituzioni che non utilizzano in modo efficiente e consapevole il denaro pubblico. In tal modo, quindi, gli autori cercano di spiegare l’evasione fiscale come la reazione (illegale) dei contribuenti a un comportamento scorretto (e talvolta criminale) delle istituzioni pubbliche.
Nello specifico, l’oggetto della ricerca è verificare se esiste una relazione tra la spesa pubblica pro capite e l’evasione fiscale in Italia. Al fine di rispondere alla domanda di ricerca, gli autori hanno utilizzato sia dati sul “tax gap” a livello provinciale, gentilmente messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, sia informazioni sulla spesa dei comuni italiani (aggregati a livello di provincia) e forniti dal Ministero dell’Interno per il periodo 2001-2015. Inoltre, per risolvere problemi di endogeneità derivanti, ad esempio, dalla presenza di caratteristiche delle province che cambiano nel tempo e che influenzano sia la propensione ad evadere da parte dei contribuenti sia il livello di spesa pubblica, gli autori utilizzano, da un punto di vista metodologico, un One-Step System GMM.
I risultati mostrano che all’aumentare della spesa pubblica pro capite, l’evasione fiscale tende a diminuire, confermando così l’ipotesi che i cittadini sono più propensi a contribuire ai bisogni della collettività pagando le imposte se vedono un ritorno in termini di spesa pubblica.
Di fronte a questo incoraggiante risultato preliminare, gli autori hanno proseguito nell’indagine per valutare se non solo la “quantità” complessiva della spesa pubblica, ma anche la sua “qualità” influisce sulla scelta di evadere le imposte. Non basta, infatti, che lo Stato spenda molto per accontentare i cittadini; occorre anche verificare come le entrate derivanti dall’imposizione fiscale siano impiegate e se vi sia spreco di denaro pubblico.
A tal riguardo, gli autori considerano la possibilità che l’aumento della dimensione del governo sia dovuto, ad esempio, a inefficienze legate a lungaggini burocratiche e si concentrano su quelle spese che hanno una maggiore probabilità di essere sotto il controllo diretto dei policymakers, ovvero le spese correnti pro capite, che di solito non costituiscono il volano dell’economia ma servono piuttosto a soddisfare esigenze clientelari e promesse elettorali. Coerentemente con le aspettative, i risultati mostrano che la spesa corrente non incide sulla propensione all’evasione fiscale. Se ne deduce, quindi, che i cittadini non rimangono positivamente impressionati da tanta spesa pubblica corrente al punto da essere più invogliati a pagare le imposte per finanziarla. Al contrario, i risultati evidenziano una diminuzione dell’evasione fiscale a fronte di un aumento della spesa in conto capitale, ovvero di quella spesa che rappresenta una stima degli investimenti pubblici sul territorio e che, verosimilmente, è meno sotto il controllo diretto dei politici e burocrati locali.
A fronte di un tale risultato, gli autori cercano di dare una spiegazione chiedendosi chi trae vantaggio dalla spesa pubblica corrente e chi ha la possibilità di evadere. Come risposta alla prima domanda, essi evidenziano che le spese a sfondo clientelare avvantaggiano coloro che lavorano nella pubblica amministrazione, mentre i sussidi e gli aiuti statali vanno a favore dei disoccupati. A conti fatti, queste categorie di soggetti sono anche coloro che meno di ogni altro possono evadere. L’evidenza dimostra, infatti, che l’evasione si annida nel lavoro autonomo e nell’impresa. Tali categorie di contribuenti non traggono grande beneficio dalla spesa pubblica corrente, ma sono sicuramente più interessanti alla spesa pubblica di lungo periodo, specialmente se essa si concentra in settori chiave, quali le infrastrutture e la sicurezza. Coerentemente con queste considerazioni, gli autori dimostrano che la spesa pubblica per investimenti in tali settori, contrariamente a quella corrente, ha un effetto significativo e negativo sull’evasione fiscale, contribuendo così in modo efficace a combatterla.
Infine, dal momento che le province italiane sono piuttosto eterogenee in termini di reddito, con il sud decisamente più povero rispetto al nord, ma l’evasione fiscale (spesa pubblica) è maggiore (minore) nel Mezzogiorno, gli autori hanno anche verificato se la spesa pubblica influisce in modo diverso sul comportamento dei contribuenti in queste due principali aree geografiche. I risultati mostrano un effetto riduttivo della spesa pubblica sull’evasione fiscale nelle regioni del nord, dove la spesa è storicamente più elevata.