The impact of Community Health Centers on inappropriate use of emergency services
Lippi Bruni M., Ugolini C., Verzulli R., Leucci A.C., 2023 – Health Economics
Da molti anni l’UE identifica nelle cure territoriali un’area strategica di intervento e sottolinea come un approccio coordinato e integrato dell’attività dei centri di sanità territoriale possa migliorare efficienza, efficacia e tempestività delle risposte dei sistemi sanitari. Sebbene non esista una definizione univoca di tali centri – denominati alternativamente Medical Homes, Patient-centered Medical Homes, Community Health Centers, ecc. -, essi condividono caratteristiche distintive come l’assistenza fornita da team multidisciplinari di professionisti, l’adozione di sistemi informatici integrati, la disponibilità di strumenti a supporto della decisione clinica come i registri di popolazione e il Chronic Care Model.
Sviluppate dapprima negli Stati Uniti per gestire pazienti complessi, tali iniziative sono ora implementate in tutto il mondo, inclusi molti paesi europei. Nella fase iniziale, il loro lancio è stato motivato dalle crescenti preoccupazioni per la crescita della spesa sanitaria, con l’obiettivo di trasferire parte della domanda dall’assistenza ospedaliera per acuti a contesti meno complessi. Successivamente, l’attenzione si è spostata verso obiettivi di miglioramento della qualità e dell’efficacia della sanità territoriale.
Il dibattito politico italiano relativo alla diffusione su larga scala delle Case della Salute (CdS) inizia negli anni 2000, partendo da una visione legata alla necessità di investimenti per migliorare l’efficacia dei trattamenti, in particolare per i pazienti cronici, e per alleviare la congestione dei Pronto Soccorso (PS). Le Regioni hanno avviato programmi su larga scala, ma la diffusione del modello è stata graduale, in ragione delle infrastrutture esistenti e della disponibilità di finanziamenti locali. Più recentemente, il PNRR ha individuato come priorità nazionale lo sviluppo delle CdS, immaginando la loro trasformazione in “Case della Comunità”, come luoghi fisici pubblici in cui prendersi cura non solo della salute, ma anche del benessere globale della comunità locale in una prospettiva OneHealth.
Nonostante l’importanza acquisita in molti contesti, l’evidenza empirica dell’impatto di tali iniziative è scarsa e prevalentemente di tipo descrittivo. In uno studio recente, “The impact of Community Health Centers on inappropriate use of emergency services”, pubblicato su Health Economics, Matteo Lippi Bruni, Cristina Ugolini, Rossella Verzulli e Anna Caterina Leucci hanno valutato l’impatto causale della partecipazione dei medici di famiglia (MMG) alle CdS, testando l’ipotesi che i pazienti il cui MMG opera in una CdS conseguano risultati migliori rispetto ai pazienti il cui MMG opera in un assetto organizzativo tradizionale. Lo studio si concentra sui pazienti affetti da diabete mellito di tipo II e misura gli accessi inappropriati in PS per condizioni minori trattabili attraverso le cure primarie. Questi pazienti sono adatti per studiare le conseguenze del nuovo modello di assistenza perché la gestione del paziente diabetico impone uno stretto contatto tra medico di famiglia e cure territoriali, in particolare quelle fornite dagli ambulatori delle cronicità presso le CdS.
L’analisi utilizza dati individuali riferiti alla popolazione diabetica in Emilia-Romagna osservata negli anni 2010-16 e impiega diversi modelli Difference-in-Differences. In ogni anno, i pazienti il cui MMG opera in una CdS sono assegnati al gruppo di trattamento, mentre il gruppo di controllo è costituito dai pazienti registrati presso i medici che lavorano nella modalità tradizionale. L’identificazione dell’effetto è resa difficile dal processo di adesione del MMG alla CdS che avviene su base volontaria. Per far fronte a tale problema, gli autori adottano strategie empiriche disegnate in modo da superare il problema di potenziale endogeneità della scelta di adesione e introducono analisi di robustezza dei risultati che sfruttano l’implementazione differita del programma, anche rispetto all’eterogeneità degli effetti di trattamento.
I risultati suggeriscono che i pazienti il cui MMG opera all’interno della CdS vedono ridurre in modo statisticamente significativo la probabilità di accesso inappropriato al PS rispetto a quelli assististi all’interno di un modello tradizionale di cure primarie, sebbene l’entità dell’effetto sia modesta. Il risultato vale anche dopo aver tenuto conto dell’autoselezione dei MMG nel programma, delle caratteristiche dei pazienti e dei loro dei medici e dell’eterogeneità dell’effetto del trattamento. L’effetto delle CdS sul PS è guidato dalle visite diurne nei giorni feriali, mentre il risultato è non significativo per gli accessi notturni e nei fine-settimana quando le CdS sono chiuse. Ciò rafforza la credibilità dell’esistenza di un legame causale tra l’accessibilità alle CdS e la riduzione dell’utilizzo inappropriato dei servizi di emergenza ospedalieri, nell’arco temporale in cui il servizio territoriale è effettivamente fruibile dai cittadini. Future estensioni potranno includere altre condizioni croniche e, con la disponibilità di dati clinici, si potrà anche esaminare uno spettro più ampio di benefici attesi.